Lettera al mio vicino

Gentile vicino,
è bene Lei, insieme a chi Le scrive, riconosca l’abilità della sua affabile bestiola a produrre dal suo minuscolo orifizio anale bisogni equamente distribuiti lungo il marciapiede che condividiamo, in sorprendente prossimità del portone che dà accesso alla mia umile dimora.
Ebbene.
Considerando che…
è la credoterza volta che, in infradito, calpesto, come dea fortuna vuole, quanto prodotto dal fulgido metabolismo dell’esserino oggetto della Sua responsabilità ex art. 2052 c.c.,
che…
stante fetore di morte tale da far supporre sia mandria di buoi o armamento di cavalli piuttosto che esile razza canina; fetore che, nonostante più tentativi d’accurata rimozione, si era sposato alle mie calzature preferite (prima le bianche, poi le verdone, indi le nere), a tal guisa da doverne gettare il paio (prima il bianco, poi il verdone, indi il nero),
e che…
ieri, pur avendo preso in sul meriggio il 2 del Cagliari di maestro Zeman al Meazza (quotato a 8), il sistemino ennesimo mi saltò fanculo in sulla sera, a 15 minuti 15 dalla fine del derby della lanterna – la matonna m’illumini, a tal proposito-, insinuandomi già reiterato dubbio circa quanto si dice del merdaiolo richiamo a quella gran puttana della dea sopra menzionata.
Ebbene.
Crede sia il caso di suggerire all’adorabile quadrupede un posto diverso ove profondere le sue attenzioni intestinali, o preferisce, nel rispetto del Suo amore quadrupede, come scrisse Stefano Benni, che noi ci si mobiliti con un tappo al pertugio ossuto della bestiolina quand’anche non sia il caso, più radicalmente, di destinare la stessa bestiolina, parlando di orifizi, al Suo, immagino, ben più generoso bucodiculo?
Ebbene. Mammata.


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