Noi futuri boomer, da quindicenni di speranza, ci si divideva in coloro che guardavano Beverly Hills 90210 e coloro che dicevano di non guardarlo.
Era un coacervo scritto male di stereotipi, che ha avuto in questo il merito indiretto della identificazione: nel buono dai principi sani, Brandon, nel bello maledetto, Dylan, nella lotta concettuale tra mora e bionda, Kelly e Brenda, nella bruttina intelligente e non corrisposta, Andrea, nell’amico sfigato, Steve, nel fidanzato perenne, David. Sfugge al novero, forse, solo Donna, poco credibile nel ruolo della brava ragazza perché, in realtà, figlia del produttore: la raccomandata è probabilmente lo stereotipo mancante, seppur fuor di pellicola.
Subentra, sempre, la morte prematura, a sancire il mito: James Dean, Marylin, Bruce Lee, John Belushi. Superando l’interpretato, rendendo accessoria l’opera cinematografica, si stagliano in quello che erano nel momento di splendore, rendendone immutabile la figura, e l’immagine icona, senza che quel fotogramma sia più sciupato dal corso banale delle cose terrene.
Shannen Doherty e Luke Perry non avrebbero avuto questo potere da soli, rabberciati in un’età attoriale che non era più quella dei giovani eroi.
Resta presenza, per una volta, quello che non è stato: la morte sopraggiunta presto per entrambi è un modo voluto da qualche regia più talentuosa per consegnare al mito l’amore incompiuto.
luglio 15, 2024
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