Un pallone tra due mattoni
a rotolare un gol infinito,
senza mai muovere la rete
Un rumore di mezzanotte
che sapevi avere barba bianca,
sentito ad occhi strizzati
Biscotti affondati
in una colazione di vetro verde,
sotto gli occhi ancora e già svegli di nonna
Il suono svelto
dell’ultima ora del sabato,
alla prima mattina di maniche corte
La testa tra la sua pancia
e il cielo di san Lorenzo,
fingendo di non avere altro cuscino.
Appagati nella sete che secca le parole.
L’attesa. Gioia. Di una risposta che già si sa.
Finché crescono in noi stupidi accademici
a cercar prove della sua esistenza.
Dio, la felicità…
Svanisce l’attimo in cui la si cerca.
Abbuffàti senza fame di surrogati cui si usa nome di serenità.
L’attesa. Angoscia. Di una risposta che non si avrà.
Persa
come quel pallone
che non ritornò
Fuggita
con quell’uomo panciuto, di soppiatto
la notte di Natale
Stanca
come corpo vitreo di vecchi
inumidito dai giorni
Rotta
come quella campanella
che, ruggine, non suona più
Sgretolata
come frammento celeste a contatto con l’atmosfera,
che credevi desiderio d’agosto.
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