Andiamovene (dalle ultime lettere di Alberto Fortis)

Ed ora, da bravi,
ammainate i megaombrelloni di paglia acrilica dei Lidoclub,
impilate le spiaggine di plastica bianche, tutte uguali, angoli sugli angoli, braccioli nei braccioli,
rompete le righe di barconi e cabinati del porto, a un massimo di 7-8 metri dalla darsena, perfettamente allineati a seconda del numero di cavalli motore, evoluzione marittima dell’ancestrale battaglia a chi ce l’ha più grosso,
e poi ripiegate slip, bikini, trikini, fili interdentali e copriclitoride dorati,
sgonfiate bicipiti e materassini a due piazze grigio decathlon,
smettete mocassini e laidi risvolti della selezione all’ingresso di bipedi notturni,
abbassate i fari dello Scoglio proiettanti ideogrammi luminosi nel blu della notte ché Gotham City torni quieto porto,
abbassate il volume della colonna sonora che mandate in loop da 60 giorni e 60 notti, sperando che il trattore del fantasma del pulcino pio uccida anche Giusy Ferreri e tutti i derivati di Gustavo Lima,
riponete le settordicimila istantanee fatte con la stessa posa provata tutt’inverno nei bagni,
sucate i resti dei vostri mojito sottomarca,
raccattate ciò che rimane delle vostre sinapsi e della vostra pelle raggrinzita dall’UVA, mentre s’affaccia la stagione dell’innimare,
richiudetevi negli ergonomici chiauti dei beauty center,
riaccendetevi la lampada e andatevene fanculo… ché è settembre.

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