Sono superficie.
Penso all’ignavia che spreca gl’istanti
senza aver dato parto che sia bellezza.
Penso alla sola omissione peggiore:
non averla fermata.
Sopra un foglio di carta,
nei pixel di una macchina fotografica,
trai tasti di un pianoforte,
sulla pellicola di un film,
sui colori di una tela.
Non incisa indelebile
su cuore destinato al macero,
né sulle retine che cenere saranno
sotto palpebre di cenere.
Voglio rimanere
parola,
faccia,
nota,
scena,
chiaroscuro.
Vivo cercando il modo di sopravvivermi.
Sbraccio confusamente perché non m’affoghi,
trascinandomi al profondo,
l’idea disumana della transitorietà.
Resto superficie.
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