Capitolo I
5 ANNI (e zone limitrofe)
A quanto mi dicono ero nato da un lustro. Non nel senso che mi defenestrarono subito dopo il primo vagito, ma nel senso di quinquennio.
L’influenza anglofona e l’imbastardimento latino avevano prodotto fenomeni musicali dalla fortuna abnorme: Spagna spopolava con “Easy lady”, Raf con “Self control”. I Righeira con “Vamos a la playa”. Addirittura.
Io non sapevo leggere né scrivere, né far di conto. Ancora. Ma ero intelligente assai. Già. Di un’intelligenza bambina, di quelle sottovalutate, che se penso a cosa pensavo dei pensieri dei grandi, ero di una sensibilità retrospettiva che ora, che anch’io sono diventato un adulto supponente e superficiale, mi pare surreale. Ma tant’era. Tenetelo a mente, quando avete e/o avrete a che fare con i vostri figli, che i scemi siamo noi.
La colonna sonora dei miei salti sul lettone era “Bandiera bianca”.
Facevo anche cose da bambini. I gelati, per esempio. Nel senso di mangiarli. Al lido “Catapane” il suono del carillon annunciava l’arrivo di Angelo, il gelataio col camioncino:
-Che gelato vuoi?-
-Cioccolato-
-No, finito-
-Nocciola-
-Finito-
-Stracciatella?-
-Finito-
-Tartufo…-
-Seee, tartufo… ma abbiamo pistacchio e ghiacciolo alla menta-
-Va bene pistacchio-.
Capitolo II
10 ANNI (e zone limitrofe)
Da qualche parte era caduto un muro. A bastanza grande, dicevano.
Era l’Estate delle “Notti magiche” di Bennato e la Nannini. Io infatti non dormivo mai, come adesso, ma non ero mai stanco, non come adesso. Ero quadripolmonare, credo, e giocavo col Super Tele (Super Santos e Tango: variazioni sul tema per i più fortunati) sulla spiaggia dalle 8 alle 20, e pescavo dalle 20 alle 8. E conoscevo tutti i nomi dei calciatori e tutti i nomi dei pesci: Giannini, Stojkovic, Baggio, Valderrama, Ope, Merule, Sparioli, Sparamazzi. Giocavo scalzo o, al più, in confortevoli scarpe di plastica. Non quelle avvolgenti da scogliera Defonseca, ma quelle con la fibbia già arrugginita all’atto dell’acquisto, quelle che lasciavano l’abbronzatura a scacchiera sui piedi. Ed un simpatico misto di sudore e terra negli interstizi tra le dita che elegantemente si era soliti rimuovere con le dita rimaste, quelle delle mani.
Ma non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore…
Non mi fermavo mai, facevo rovesciate immaginandomi istantanea da album Panini, incurante del ghigno di scogli acuminati, che a ripensarci ora… è una parola farlo, Parola Carlo.
Pescavo cefali coi vasetti di vetro e parasaure a strascico, vietato, che la paura della finanza rendeva tutto più adrenalinico di un adulterio tra le mura di casa.
E mi succedevano cose da viaggi di Gulliver: una volta ho visto uno squalo di oltre tre metri in mare. Una volta mi sono conficcato in un piede una siringa abbandonata. Una volta, quando ero piccolo, sono anche morto.
No, no, non è vero, ma solo quest’ultima cosa.
Capitolo III
15 ANNI (e zone limitrofe)
Mi sarebbe piaciuto dire che ascoltavo “Wind of change”, “Smell like teen spirit”, “Losing my religion”. Invece no: colonna sonora di quell’Estate fu “The rhythm of the night”, di una cantante che si dimenava tra le sue treccioline afro e che si faceva chiamare come una birra.
Si consumava l’asfalto torrido in vespa PK Rush, con pilota ed un numero variabile di passeggeri da uno a tre, di cui l’ultimo in posizione aerodinamica di massima raccolta stile galleria del vento con le suole delle Reebok Pump sopra le sacche laterali.
Si andava in spiaggia in boxer parigamba neri e canotta bianca rigorosamente a costine, per mettere in mostra una prima faticosa bozza di spalle e natiche, le uniche cose già cresciute oltre ai peli sotto le ascelle.
Io millantavo nell’incedere gambe arcuate da calciatore, sicuro del mio sarà mestiere. Avevo una passione sfrenata per tutto ciò che richiamasse la rotondità d’un pallone: andavano molto le tette, infatti. Il mondo era solo pallone e tette. A volte neppure li distinguevo.
Io non avevo pensieri, a quindici anni, figuriamoci gli altri.
Erano i primi falò sulla spiaggia, climax di gioia ed ingenuità ormonale. Se capitava di stendersi sullo stesso asciugamano (il telo mare te-lo sognavi) della ragazza più carina della comitiva, l’intensità emotiva suggeriva l’anticoncezionale.
Le altre sere, tutte, si camminava, tutti, lungo i muretti dello Scoglio. E poi quando ci si stancava si camminava lungo i muretti dello Scoglio. Se intanto non era troppo tardi potevi anche camminare lungo i muretti dello Scoglio.
Capitolo IV
20 ANNI (e zone limitrofe)
Di lì a poco sarebbero collassate due torri molto popolari di un quartiere molto popoloso di una città molto popolata.
Io “scendevo” dalle sudate carte universitarie abbattuto da dieci ore incondizionate di Espresso. Che secondo me, Murphy, quando teorizzò la sua legge ed i suoi corollari, era su un treno delle FS.
Giungevo con barba eremitica, portamento ascetico e forma fisica simil-aracnide: una palla da cui dipartivano un numero indefinito di arti (credo quattro, due alla volta simili) ipotonici.
Avevo fatto due esami, o tre. A casa mi si accoglieva come un premio Nobel dopo un decennio di stenti in Ruanda. Tutto il mio albero genealogico fino al sesto grado in via agnatizia si dava appuntamento ogni mezzodì per rimpinguare le mie membra provate. Provate voi, appunto, a mangiare polpette, fritte, patate, fritte, polpo, fritto, peperoni, fritti, zucchine, fritte, mugnulu, fritto, e maccheroni, cullusugurussu (ricco condimento a base d’olio con tracce di salsa), lasagne, cullusugurussu, orecchiette, cullusugurussu, pasta con le cozze, cullusugurussu, pasta in bianco, cullusugurussu, frutta, cullusugurussu, gelato. Cullusugurussu.
Per regolamento interno non ci si poteva alzare da tavola prima delle 17.30. Poi, maglietta bianca tono su tono, mi trascinavo, anemico e con una respirazione tra la decompressione e l’asma bronchiale, presso i soliti lidi. Er Piotta stonava “Il supercafone”, con una tempestività che presto mi convinse che la fonte d’ispirazione fossi io.
Mandavo a mollo i miei resti al tramonto, a circa 3/5 della mia digestione; puntino d’una tavolozza tra cielo e mare che fortuna geografica mi suggeriva normale. Raccoglievo le ultime energie per superare il limbo del bagnasciuga, dove onde che cancellavano orme dovevano passare tre o quattro volte per sfrattare il mio passo pesante. Perdevo i sensi residui abbandonandomi in spiaggia.
E’ capitato che mi ritrovassero al mattino seguente, gridandomi –E’ pronto, a tavola!-.
Dammi “Tre parole”: sole, cuore, amore.
Capitolo V
25 ANNI (e zone limitrofe)
Grosso non era ancora il Fabio più famoso d’Italia dopo Caressa, perché ancora non era blu il cielo sopra Berlino. Lo sarebbe diventato.
L’Estate era ancora il ritorno dall’afa universitaria, solo che io non ero più lo studente modello, ed anche per il Nobel le speranze si erano affievolite.
Non restava che cavalcare l’onda della beltà ed estetizzare l’etica: fu l’Estate dei bermuda da surfer senza surfare, degli infradito da beacher senza schiacciare. Il bulbo capillifero rigoglioso mi consentiva l’uso smodato di orpelli e coroncine equivocanti mascolinità. Ma potevo permettermelo. Io potevo permettermi tutto, a venticinque anni: quando entravo in mare dovevo solo decidere se camminare sulle acque, o accontentarmi di dividerle (credevo molto in me, prima di diventare ateo). Potevo decidere, a venticinque anni. E non solo quello. Potevo decidere quale ragazza avere, o quante, o anche nessuna, ché intoccabile a volte è meglio. A volte.
Il culo aveva soppiantato le tette nei miei favori d’esteta d’Estate. E il culo andava molto, infatti. Ed anche sedicenti suore non si esimevano dallo spaziare (al più) dalla culotte perizomata al filo interdentale: spettacoli incisivi, gusti canini.
Eravamo un po’ tutti Bob Sinclar al ritmo di “Love generation”.
Capitolo VI
30 ANNI (e zone limitrofe)
È l’era di feisbuc, delle palestre, dei centri benessere. Di feisbuc nelle palestre dei centri benessere.
Le ragazze, dall’età prescolare a quella prepensionamento, si fanno fotografare ammiccanti. Tutte con la stessa posa studiata d’inverno nei bagni. Il gap tra percezione del sé e realtà sensoriale è ai massimi storici: si sentono sirene sinuose, sono spesso capodogli spiaggiati. Più costrette alla panatura che legate a un granello di sabbia.
I ragazzi sono unti d’abbronzante e gonfi, tutti, che aldilà di facili riferimenti a carenze pelviche, non si possono non conservare riserve circa le loro capacità dinamico-motorie, vista la manifesta impossibilità anche di avvicinare le braccia, causa massa in esubero, che insinuerebbe il dubbio persino dell’uso del pollice opponibile. Che quand’anche talvolta riuscissero ad abbracciarla, una donna, schizzerebbe in aria tipo shuttle per il troppo olio.
Ma io non ci sto! Il lutto per il diradamento è ormai quasi elaborato, non ho la forma fisica dei miei giorni più floridi, ma ho un trascorso troppo da “bello” per aver potuto curare nel tempo le mie maldisposte doti di simpatia. Così, da affascinante disadattato, la butto sul culturale, non per particolari meriti, quanto per il termine di paragone contumace, che mi si pensa come pensatore quando sono a malapena pensante.
Alla spiaggia preferisco gli scogli, ed affino il mio gusto estetico per il particolare femmineo: una schiena sensuale può molto, per esempio. E’ l’Estate dei pantaloni tailandesi, la tracolla di cuoio, “Garota de ipanema” nelle orecchie ed il libro tascabile. E’ facile, dagli scogli, fingersi avulsi dal circondario. O forse è solo un modo per controllarlo meglio. Che sennò, perché propenderei per i libri in formato pocket?
Capitolo VII
35 ANNI (e zone limitrofe)
Nel mezzo del cammin di nostra vita… Non ci sono ancora, ma voglio essere ottimista visto che, con ‘sto fisico, già è molto se c’arrivo.
L’anticonformismo è omologazione etica. L’omologazione estetica presta il fianco alle controindicazioni del tempo.
L’abusivismo edilizio ci permette di tuffarci in mare da casa, ma guai a chi pesca più di dieci ricci cadauno. I lidi privati hanno concessioni in virtù di colpi di genio dei legislatori che neppure Salvador Dalì. O Zinedine Zidane.
Ci si finge divertiti ad oltranza per essere accettati dalla platea dei felici. Platea di se stessi, appunto. E dobbiamo essere felici di bere prosecco a 40 euro la bottiglia, della MD discount (2 euro), che nei lidoclub più in voga diventa acronimo di Must Dominus, che nessuno sa cosa cazzo possa significare, e difatti non significa un cazzo, ma suona di magnificenza e lusso, e quindi siamo VIP e felici. Very Important People. Person è un’altra cosa.
I vari iPhon, iPod, iPad, sono tutti provvisti di apparecchio iAmplifon incorporato, dopo decenni di musica house sparata a decibel sovrumani.
I muscoli raggrinziti dei palestrati di terza età discutono con le labbra al collagene e botulino della sacrosanta verità della vecchiaia. La leggiadra farfalla che la ragazza più corteggiata della spiaggia aveva fatto tatuare sul suo decollete dieci anni prima, è diventata un condor mastodontico sulle mammelle del troione.
Ogni tanto passa di lì la rotta del mio Sandalò (essere mitologico metà sandalino e metà pedalò). Ogni tanto mi chiamano e mi fermo. Ogni tanto, fortunatamente, perdo il cellulare.
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