La dura vita degli scrittori normali (racconto breve)

-Ma chi è quel tipo strano con quella corona d’alloro in testa? Si è laureato un bel po’ fuori corso…-

Al Caffè Letterario io ero solito prendere il mio caffè corretto con grappa barricata ed una punta di zucchero di canna, ogni giorno all’ora del tè.
Il mio bioritmo era ubriaco dai tempi dell’università, e quel posto era l’unica cosa che trovavo aperta ogni volta che le mie terga avevano bisogno d’uno sgabello e la mia gola di qualcosa di caldo.
Il Caffè Letterario era gestito da Mario, un ex scaricatore di porto che aveva preso la terza media alle scuole serali a cui il padre, Giuseppe Letterario, aveva lasciato in eredità quel bancone, tre macchinette videopoker e la manciata di clienti affezionatissimi abbandonati su quel lastrico opaco da mogli e datori di lavoro.

Quel giorno però lo strano signore d’alloro crinito era appena sceso da un taxi giallo fiammante porgendo al conducente, barba lunga, aspetto demoniaco ed occhi di bragia, quanto richiesto dal tassametro in monete da due euro.
-Ciao Caro’, ti squillo tra un po’. Dio t’assita!- disse con un’invocazione non troppo dissimile, nei toni, a una bestemmia, brandendo uno smartphone di ultima generazione.
E mentre il losco figuro lasciava buona parte del retrotreno sull’asfalto di via della Speranza, il singolare passeggero entrò senza salutare, ordinò due negroni e scartò un pacco di toscani appena sotto il cartello “no smoking”.
-Pago io, Virgi’, non fare troppe commedie- fece fermando con un cenno l’uomo che lo aspettava al tavolo appena questi accennò ad alzarsi.
-Quello delle commedie qui sei tu…- rispose l’uomo riguadagnando cauto la seduta mentre si accompagnava un rene -per quanto divine, intendiamoci!-
Non potevo crederci: era lui.
Seduto in quel bar del centro con poca luce, il poeta più luminoso che la letteratura d’ogni tempo avesse conosciuto, il geniale esecutore dei canti più straordinari mai letti, il padre del meraviglioso idioma che volgare modernità minaccia.
Ed io seduto lì, con una tazzina ed un taccuino vuoti a implorare ispirazione. Ad un palmo dal suo naso. Metaforicamente. Che dato la prominenza del suo setto non è che avrebbe significato tutta ‘sta vicinanza.
Ne avevo appena compiuti trentatré, e non parlo di canti.
E non pensavo nemmeno che, nei due anni che mancavano al mezzo del cammin, potessi inventarmi chissà cosa.
Io ero uno scrittorino in attesa dell’editore che ricercasse il talento che sapevo di non avere, ma che magari fosse vittima d’una fortunata svista. Da una vita inseguendo il romanzo perfetto, tutti i giorni a rincorrerlo nelle stesse vie, sulle stesse spiagge, negli stessi ricordi, sullo stesso tavolino, dentro lo stesso caffè corretto.
Senza mai trovare altro che bozze balbuzienti, bic mordicchiate e pagine accartocciate vicino alle mie gazzelle grigie, che non correvano più.
M’alzai. Di scatto. Iracondo pronto ad offrire candidatura al quinto cerchio. I resti della mia penna stretti nella mano che delle due non colpì con furia il tavolino. Il frangersi della tazzina non fece in tempo a far rumore…
-E ora dimmelo, ti prego: come hai fatto tu, Alighieri, a fare quella cosa che hai fatto?!?-
-Ma smettila…- disse lui sufficiente mentre schiacciava pulsanti a caso al videopoker.
-Cioè ma… ti rendi conto di quanto è difficile scrivere cose che sembrino geniali, o anche soltanto belle, dopo quella cosa che ti sei inventata tu? No ma, dico, lo sai che casino hai fatto tra tutti noialtri che si scrive, tra tutti i poeti dopo di te Poeta? Non ti viene vertigine a star così in alto?
Non ti girava la testa a girare gironi?-
– Ma fammi il piacere… gli unici gironi che mi interessano sono quelli di europa league, ché quest’anno la viola vince!-
-E Beatrice che dice?- incalzai- Hai idea che invidia le altre? Non potevi scrivere cose così, come tutti… Io impazzisco se so come hai messo in riga i numeri a forma di parole. Se so come hai parlato tu della morte. E tu dell’amore.-
Lo schermo infilò quattro donne ed un nugolo di monete tintinnò fuori dal videopoker.
– Quattro donne… altro che Beatrice, ragazzo: si deve andare sulla quantità!-
– Va’ all’inferno!- sbottai facendo attenzione a mettere al posto giusto l’apostrofo.
– Ma che tu dici, bischero? L’inferno non esiste…-
– Come non esiste? Se lo hai inventato tu! E non fare il modesto, ché sarebbe di pessimo gusto!-
Lui s’alzo, cambiò le monetine, pagò il mio caffè corretto, prese due gratta e vinci.
-Ed ora dimmi- provai ancora io per rallentare il commiato – per tutto ciò che hai fatto a noi scrittori normali, quale sarebbe il contrappasso che tu meriti?-
Mi strappò dalle mani il taccuino in cui si inseguivano i miei pochi appunti potabili e i miei innumerevoli dubbi…
-Leggerti- sentenziò guadagnando l’uscita col compagno di bevute.
Il tassista appena allertato passò alitando imprecazioni e cognac, e qualche sportello sbatté poco prima che il traffico lento dell’ora di punta inghiottisse i tre.

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