Le ferrovie del signore sono infinite

Lecce-Milano-Bologna-Padova-Bologna-Lecce. In 7 giorni.
Ho capito che le ferrovie dello Stato usano l’aria condizionata come arma di distruzione di massa. E condivido.
Gli agenti atmosferici hanno saputo: ho preso litri d’afa e poi litri d’acqua.
Ho visto quartieri interi a forma di cinesi. Che vendevano tutto, anche di notte. E italiani che compravano tutto in grosse buste, anche di notte. E altri italiani che compravano poi, di giorno, da negozi di lusso made in italy che avevano comprato la notte prima dai cinesi.
Ho mangiato sushi.
Ho comprato una maglia che mi fa figo come quando lo ero e un puzzle completamente bianco.
Ho trovato per strada una signora di centoventi chili in carrozzina che voleva essere riportata a casa dove erano rimasti il marito e la badante.
Ho visto migliaia di avvocati -qualcuno meno- in pausa pranzo al Duomo con al collo nodi così grandi e stretti che potevano solo ingerire frullati.
Ho fatto finta di dormire in treno per sfuggire alla logorrea di una nonnina troppo in forma per me. Ed al dramma sussurrato di una donna più giovane e triste ché il figlio, poverino, dopo aver studiato filosofia era finito a fare il bancario a stipendio fisso al posto del padre.
Ho visto il Bologna tornare in serie A.
Ho visto reggiseni in disuso sotto canotte di cotone leggero. Che va bene così. E le nudità del Nettuno non cedere, stoiche, al proprio riposo.
Ho riconosciuto un mendicante barbuto sul quale questi anni hanno avuto molta meno incidenza che su di me.
-Ti trovo bene-, gli ho detto, e lui mi ha fatto cenno di aspettare un attimo che era al cellulare.
Sono passato dall’università per vedere quanti professori fossero morti, intanto. Non abbastanza.
Ho visto una donna in overdose morire a due metri dall’aperitivo.
Ho mangiato in una libreria col pianoforte.
Ho bevuto birra normale. Si chiamava così.
Ho visto la mostra di Escher, quello che disegna un sacco di scale che non si sa dove portino ed un sacco d’altre cose che non si sa dove vadano. Non è vero: sono un coglione perché non l’ho vista. Ma c’era.
Ho ascoltato un cantautore sparso in piazza che pare conosca la forma del mondo. E secondo me ha ragione lui.
Ho rivisto “Forrest Gump”, e mi fa piangere ancora grossi magoni senza lacrime pronti a sciogliersi dovessi parlare.
Ho disegnato coi pastelli a cera con un mio amico di un anno e mezzo, che non ci disegnavo da mille e mille anni. E sono più bravo io di lui!
Ho incrociato un poeta, vero dice lui ed io sarei anche d’accordo, sul binario quattordici.
C’è qualcosa di più banale di un poeta che aspetta un treno?
Mi ha lasciato il suo numero dietro lo scontrino di una farmacia. Aveva appena comprato il malox.
C’è qualcosa di più banale di un poeta che aspetta un treno: un poeta che aspetta un treno col malox in borsa.
Ho trascinato bagagli, e riposto pensieri da viaggio nei calzini sudati.
Ho occupato il mio posto stampato su carta, solo per un po’, ché io non so mai, davvero, qual è il posto che ho.

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