Perché, scusa, anche tu puoi morire?
Lo ha fatto nel giorno in cui se ne vanno i ribelli.
Non contano più le parole biascicate da quel volto tumefatto dai suoi demoni.
Perché avete ragione voi benpensanti: Maradona non è un eroe, non è un esempio, non è un modello di studio interessato all’assoluzione di questa o quella corte morale.
Maradona è simbolo, proiezione di quanto un miliardo di noi ha stupidamente immaginato di ripetere. Anche solo una volta. A ridosso dell’area di rigore o più vicini al cerchio del centrocampo, sulle note di una canzone che conosciamo apposta o negli intervalli tra macchine e marciapiedi.
Maradona è iconografia, effige trascendente la sua stessa umanità indisponibile ai più, oltre la sua inconsapevole essenza, oltre la sua carne di fibre divine, capace di volteggiare, tra stinchi e pedate, per la sua voglia bambina di restare in piedi.
Elasticità che non si piega, genialità che non si spiega.
Estro senza accademia, che in un lampo trasforma il più bizzarro dei suoi ghirigori nel gesto utile al trionfo di un popolo.
Maradona è l’idolo di spalti rigurgitanti che torna con le scarpe slacciate a mescolarsi al fango delle periferie. A godere di un altro gol quando si spengono le luci.
Maradona è il ragazzino che vuole diventare il più grande.
Maradona è il più grande che non esita a tornare ragazzino.
Maradona è rivalsa, per tutto ciò che sarebbe potuto essere e non è stato.
È l’altare improvvisato dei traditi da Dio.
Maradona è la metafora perfetta del sud del mondo, nei suoi splendori, nelle sue miserie, nelle sue contraddizioni. Quel sud che c’è nel fondo di qualsiasi parte del mondo, e in almeno un anfratto di ciascuno di noi.
Maradona è il mito già senza la morte che crea il mito.
Aldilà del bene e del male.
Rabbia e fantasia.
Gioia dispensata senza nulla chiedere in cambio.
‘No importa que hiciste con tu vida, sino lo que hiciste con las nuestras’.
Si pianga, o si continui a festeggiare.
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