Lo incrociai solo una volta, in via D’azeglio,
una viuzza del centro alla sinistra del palco che ‘sta sera lo ha ricordato.
Non capii subito che era lui…
Era solo un uomo bassissimo e bruttissimo.
Che non sembrava nemmeno della nostra specie, tanto era brutto.
Lo salutò da lontano, scuotendo due borse della spesa e strillando il suo nome, una signora rumorosa e pittata.
Lui rispose, scuotendo la mano irsuta e strillando un verso strano, con un sorriso sgarrupato e bellissimo.
Che non sembrava nemmeno della nostra specie, tanto era bello.
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Lucio
San Valentino ed altri incidenti domestici
Cuori, fiori, amori, baci, lucchetti, Moccia…
Per i più distratti oggi è San Valentino: il giorno degli innamorati, quelli che preferiscono le farfalle nello stomaco alla più pragmatica e remunerativa collezione di farfalle (dicunt).
Evviva! Evviva gli innamorati, l’amour, le farfalle, i bruchi, le lucciole al tempo delle escort…
Ma non è questo, il punto.
Anzitutto vorrei spezzare un’arancia (la vitamina C è importante contro i malanni di stagione e l’argomento non è scevro da influenze) rispetto a San Valentino come negozio unilaterale; non in virtù di una triste apologia della singletudine, ma alla luce di una visione quanto più democratica e pluralista dell’amore (e qui i figli dei fiori, benché la mia anagrafe potrebbe suggerirlo, c’entrano ben poco): cioè… ognuno lo viva come vuole, certo, ma San Valentino è solo la festa degli Innamorati, mica soltanto di quelli innamorati tra di loro, a due alla volta e nel più rigido sinallagma genetico del (presunto) Do ut (presunto) Des. Insomma, nessuno si senta escluso dal ricorrere della ricorrenza, e ciascuno ami: una persona, più persone, non importa se poi corrisposto (che, francamente, la certezza, che non v’è mai, non sta di certo nella compresenza)…
ciascuno ami: una cosa, un momento, un cane, un tormento…
ciascuno ami, financo se stesso, se ciò sia sincero.
Ma non è questo, il punto, neppure.
Oggi, San Valentino, giorno degli innamorati, vorrei dirvi di un argomento che, con l’amore, proprio non c’entra.
Oggi, San Valentino, giorno degli innamorati, vorrei dire del Matrimonio.
Sì, perché potrei continuare a crogiolarmi dietro le finestre del mio personaggio seminando rinfusamente auguri “a tutte coloro che m’hanno partecipato del loro amore”, “a tutte coloro che hanno preferito tenermene all’oscuro” (oltre a coloro le quali hanno preferito tenere all’oscuro anche se stesse), ma la verità, vestita e cotta, è che sono un romantico patologico, ho sempre pensato all’innamoramento come all’ingresso profumoso dell’amore eterno, e all’amore eterno come presupposto unico ed immutabile del connubio di tradizione romanistica (che, badate bene, non significa che io tifi per La Magggica).
Il Matrimonio… ci ho sempre pensato, sin da piccolo, e, da piccolo, avevo anche abbozzato qualche data papabile.
Che poi, a ben pensarci, ognuno ci è andato vicinissimo o lontanissimo nello spazio di un attimo. La differenza sta, spesso, in un sì convinto o un po’ più frigido, e nella combinazione tra le semicrome tonali del rispondente col PH acido del richiedente; una questione timbrica, insomma, come l’effetto di un “All in” al texas hold’em…
Sta di fatto che, al cospetto del famigerato “Mi vuoi sposare?” ho visto coppie cristalline sparire, e triangoli opachi ed altre strane figure geometriche risolversi magicamente in abiti bianchi, coppie meravigliose dissolte e coppie dissolute dare alla luce figli meravigliosi.
A volte è solo una questione di prontezza alla risposta, poco altro.
“Mi vuoi sposare?”.
La prima volta che me lo sentii dire ero un giovane ricolmo di entusiasmi e desiderio… sarà che mi colse all’improvviso…
“Mi vuoi sposare?”…
“Ehm… le 7 meno un quarto”, risposi.
Le ore dell’amore si interruppero e, non so perché, non se ne fece nulla.
Il tempo passò, il giovane ingenuo e speranzoso divenne un uomo disilluso, quantunque ancora avvezzo al piacere.
Successe di nuovo: “Mi vuoi sposare?”…
“Ma porca di quella troia, non avevi detto che usavi la pillola?”.
La spirale dell’amore s’interruppe e, non so perché, non se ne fece più nulla.
Poi, però, le cose cambiano e, sì, si matura, si rinsavisce, si capisce cosa si vuole, si è certi di non sbagliare più, niente più incertezze, errori, niente più motivazioni sterili, atteggiamenti stitici, solo un uomo, deciso, convinto.
Così, nel tempo, dopo studi di settore ed attenti rilevamenti empirici di ambito sociologico, ho teorizzato la risposta ideale: al prossimo “Mi vuoi sposare?”, lo so, saprò cosa dire: al prossimo “Mi vuoi sposare?”, fermerò il mio incedere elegante, volgerò il mio viso consapevole verso di lei riscrivendo di rughe la mia fronte spaziosa, raccoglierò i miei sensi nell’intensità di uno sguardo, languido e scostante, schiarirò la mia voce calda e ruvida e dischiudendo le mie labbra umide con sapiente lentezza, piano, sussurrerò “Movediamo®…”
Movediamo… è musicale, accomodante, morbido, discreto, ma non lascia margine, è istantaneo e poi scivola via; genera attesa, ma senza impegno, non presta il fianco ad asfissia; è deciso ma leggero, duttile, ma non malleabile; è presente, oculato, collaborativo, plurale, inclusivo… provateci… con un “movediamo” sei inattaccabile…
Un “Movediamo” è per sempre.
Un mattino di tanti
9.40 di una mattina di martedì.
C’è anche il sole… non ho scuse metereologiche al mio stato d’animo uggioso.
Con tempi di reazione geologici poggio entrambi i piedi nudi fuori dal letto.
Riposiziono le mie vertebre perpendicolari al pavimento e mi ritrovo, traslato, in bagno.
Aderisco alla superficie antartica della tazza (che poi non ho mai capito come si può aver inventato l’Ipod, l’Ipad, l’Ibook, l’Iphone e non ancora un copritazza riscaldato) per l’espletamento delle prime funzioni fisiologiche tra alterne fortune, lascito di una fedele sindrome del colon irritabile: la “malattia degli intelligenti”, come dicono gli esperti della psicosomatica. Peraltro è questa unica e sola conferma alla famigerata profezia delle scuole primarie: “signora, suo figlio è intelligente, ma non si applica”. Mai a nessuno che onestamente si dicesse “Signora cara… per impegnarsi suo figlio s’impegna… ma è che è proprio coglione, ed il suo un quoziente intellettivo a malapena gli consentirebbe la deambulazione”. Eppure così ce ne sono, sennò come si spiegherebbero i dati auditel!
Il sole mattutino ha un’altra controindicazione: non mente quando devi fare i conti con lo specchio; la tua faccia è lì, inondata tutta delle stesse frequenze luminose… sarà molto più difficile, oggi, far rientrare questa nuova ruga nel novero di quelle “d’espressione”.
Fidandomi più delle rimembranze tattili, stante temporanea semicecità, accendo la macchina del caffè, pulsante verde, apro il frigo: il mio ritmo sonno-veglia è più ingarbugliato del cubo di rubik, ingerisco 4000 kcalorie giornaliere in ordine tale da suscitare attacchi di panico anche ai dietologi più duttili, non ho rapporti sentimentali stabili tranne l’odio per chi ho amato, non disdegno alcolici né il fumo vanigliato di qualche sigaro; salvo poi pretendere l’espiazione dei miei peccati con 10 cl di fermenti lattici più sopravvissuti che vivi… solo che, cristo, ‘sta mattina sono rimasti solo quelli alla fragola… cioè dai… alla fragola… capisco alla pesca, all’ananas, all’albicocca, alle more, alla papaja, persino alla pappa reale, ma alla fragola…
Butto giù tutto d’un colpo, a torso nudo, come quelli della pubblicità; poi uno spiffero minaccioso consiglia la maglia della salute e la fine del mio minuto privato di celebrità.
Pulsante giallo, il caffè esce, lento, così come i primi interrogativi, vecchi, del nuovo giorno: con o senza zucchero? Dolcevita o camicia? Quando mi si presenterà l’estratto conto del mio credito con la vita?
Vista l’escalation delle domande ritengo opportuno aggiungere una zolletta di zucchero in più.
Mi faccio scorrere qualche litro d’acqua sopra, tiepida, nella speranza di sciogliere tensioni muscolari e grovigli di pensieri; appurata l’inefficacia del metodo, mi cospargo di crema al Q10 per mantenere il coefficiente elastico della pelle (lo hanno detto alla televisione) e spazzolo i denti con movimento ondulo-sussultorio (lo ha detto mio zio).
Non cedo all’ultimo ammiccamento del piumone ancora caldo solo perché ho la barba troppo al punto giusto per restare a casa; quella di tre giorni, che sembra abbandonata lì, al caso di un disordine perfetto.
Ho già fatto benzina? Torno a casa o pranzo fuori? Miles Davis o Charlie Parker? I propri istinti e le proprie passioni giustificano sempre ciò che di sé si lascia per strada?
Inforco il carisma e il sintomatico mistero dei miei occhiali da sole simulando fascinosa fretta.
La macchina parte, l’autoradio canta… Il solito asfalto, che non dimentica di ricordare, le solite curve, che non ricordano di dimenticare, il solito semaforo, rosso, sempre quello, sempre rosso…
Le note di Lou Reed si beffano di me… Perfect Day…
Ho sempre molte difficoltà a concepire un titolo
Cioè, parliamoci chiaro (che pensandoci nessuno mai ha scritto il primo articolo di un blog iniziando da un cioè… che fa tanto anni ’80, tra l’altro… ma già sto divagando… e sto usando troppi puntini, e parentesi assai)… Parliamoci chiaro, dicevo… cioè io parlo, voi leggete, qualora lo vogliate e, al limite, commentate (e già mi rinfranca questa diminutio democratica: troppi equivoci ha prodotto ‘sto concetto di libertà d’opinione).
Insomma, torno a dire… vent’anni fa, quando ero sicuro di poter guadagnare un pozzo di sporco danaro con superbe prestazioni calcistiche non ci avrei mica pensato, di pensare a scrivere in rete da parvenu della parola; dieci anni fa, quando ero giovane (che proprio giovane non credo di esserlo mai stato) e bello (e già qui mi sento di sbilanciarmi maggiormente), mica avevo pensato al bisogno di affidare il divenire della mia vanità ad un blog. Ma le cose cambiano, le cose divengono, perfino il mio misoneismo.
Che poi che cosacazzo… è tutta questione d’insicurezza malcelata: sto qui, scrivo di mio, offro quote della mia indolenza senza corrispettivo se non la quiete di un momento, eppur sento il bisogno di giustificarmi… lo faccio per questo, lo faccio per quello, è colpa anche vostra…
Che onestamente un po’ è anche vero, certo: in questi anni di interazioni eteree gli attestati di stima per la mia supposta (o supponente?) grazia stilistica si sono inseguiti, ed io facevo finta di rifuggirli cercandone astutamente degli altri come una ragazzetta adolescente al primo ciclo mestruale (che secondo me ce l’ho anch’io, e più lungo). I fidbec positivi di amici, conoscenti, passanti si sono rincorsi con una certa continuità, ancora piacevole. Poi però c’è chi ha azzardato i primi suggerimenti: scrivi a qualcuno… non puoi fare sempre tutto aggratis… provaci… sai le case editrici… raccogli materiale (e che lavoro in una cava?)… invia… sii costante… sii partecipativo…
Ed il significante “suggerimenti amichevoli” ha assunto presto presso il mio stomaco il significato di “pressioni insostenibili”: mi sentivo un po’ come quei quattro cinque panda rimasti nelle grinfie del wwf che, vicini all’estinzione, vengono guardati da occhi di animalisti famelici che intonano “vai che ce la fai vai che ce la fai” tifando per il concepimento. Pensa che ansia da prestazione (secondo me le macchie nere intorno agli occhi, prima, non ce le avevano. E nemmeno io).
A ognuno i suoi tempi, quindi; e se i miei sono geologici (che poi, sul tempo, ho detto e pure qui dirovvi) pace, amen, alleluja (alleluja un po’ meno).
Alla fine arrivò un altro inizio. Io persevererò nell’utilizzo abusivo dell’idioma italico, o di quel che ne resta, e voi continuerete a dirmi che sono bravo, meno bravo, pessimo, o a cercare l’agognato errore d’accentazione (che è sport molto in voga individuare l’errore d’accentazione in chi scrive e che così, al contempo, si sopravvaluta).
Ciò che ancora mi crea imbarazzi è questa tastiera: non imparerò mai ad utilizzare altre dita che i due indici perché, sappiatelo se non lo sapete, fosse per me avrei continuato con la penna, ma ci ho provato e rigo lo schermo… In alternativa potrei scannerizzare le mie carte inchiostrate e pubblicarne il file, ma ho difficoltà anche con lo scanner perché questi attrezzi demoniaci ed ormai semoventi individuano con facilità sbalorditiva se l’umano nelle vicinanze appartiene alla disadattata specie (peggio dei panda) dei tecnolesi.
Capisco che sia contorto… però… dai: chi è senza psicosi scagli il primo aggregato naturale di minerali!