È che preferisco le sere alle mattine.
I tramonti delle cose trascorse, degli sbagli fatti e di quelli non più possibili, dei malesseri spalmati e degli attimi che ne interrompono la persistenza.
Le malinconie che le gioie e i dolori, assiepati vicini, sono diventati.
I tramonti.
Non le albe, da quando le attese, cresciute male, si sono fatte ansie.
È che ciò che sarà è legato indissolubilmente a ciò che non potrà più essere. È che può essere ancor più vecchio del precedente, il nuovo anno. E il vecchio, in fondo, è qualcosa che ci ha ancora concesso di farla franca.
A me ha dato un scusa plausibile per i miei ritardi. Di dieci minuti, ché sono per strada, o di qualche lustro, che non so più dove sia.
Brindo solo al passato, quando è ancora presente. In quel nuovo sorriso nel piccolo spazio tra il tutto ed il niente.
Archivio dell'autore: michele fiore
Trentuno
San Lorenzo
Dicono che ogni bimbo nasca sotto lo stesso cielo.
E ad ognuno sia concesso il naso in su delle giornate più limpide,
perché sia più facile immaginare.
Scorgere per primi scie luminose e stringerle nelle palpebre il tempo utile per non far scappare via il desiderio.
Chissà se anche a Gaza pensavano fossero stelle cadenti.
Poster
Noi futuri boomer, da quindicenni di speranza, ci si divideva in coloro che guardavano Beverly Hills 90210 e coloro che dicevano di non guardarlo.
Era un coacervo scritto male di stereotipi, che ha avuto in questo il merito indiretto della identificazione: nel buono dai principi sani, Brandon, nel bello maledetto, Dylan, nella lotta concettuale tra mora e bionda, Kelly e Brenda, nella bruttina intelligente e non corrisposta, Andrea, nell’amico sfigato, Steve, nel fidanzato perenne, David. Sfugge al novero, forse, solo Donna, poco credibile nel ruolo della brava ragazza perché, in realtà, figlia del produttore: la raccomandata è probabilmente lo stereotipo mancante, seppur fuor di pellicola.
Subentra, sempre, la morte prematura, a sancire il mito: James Dean, Marylin, Bruce Lee, John Belushi. Superando l’interpretato, rendendo accessoria l’opera cinematografica, si stagliano in quello che erano nel momento di splendore, rendendone immutabile la figura, e l’immagine icona, senza che quel fotogramma sia più sciupato dal corso banale delle cose terrene.
Shannen Doherty e Luke Perry non avrebbero avuto questo potere da soli, rabberciati in un’età attoriale che non era più quella dei giovani eroi.
Resta presenza, per una volta, quello che non è stato: la morte sopraggiunta presto per entrambi è un modo voluto da qualche regia più talentuosa per consegnare al mito l’amore incompiuto.
Intramare
It’s the final countdown!
Le cassette, gli anni ottanta
Al pallone sulla spiaggia
Qualche mamma che s’arrabbia
Per le squadre fate a tocco…
Cocco fresco, mandorle cocco!
Era caldo e poco mosso
Supertele, bianco o rosso.
Da una casa uscendo a razzo,
ampio living e terrazzo,
con tre camere intramare:
-È vietato qui giocare!-,
strillò un uomo nerboruto.
Già capire avrei dovuto,
in quel luogo di endorfine,
quanto è labile il confine
tra abusivo, spesso ammesso,
e ciò che non ci è concesso.
19 Marzo
Oggi è la festa del papà.
Io non sono mai stato bravo nel fare gli auguri, cercandone formule.
Io non sono mai stato bravo nel manifestare i miei sentimenti, declinandone modi.
Non sono mai stato di quelli capaci di rendere chiare tutte le cose che mi abitano dentro.
Di renderle, seppur a spicchi, esplicite ad altri animi e visibili ad altri occhi.
E oggi nemmeno, ovviamente. Ciao.
Punto e altrove
Crepare di maggio non ci sono prove
Ci vuole coraggio andar punto e altrove
Un pensiero ostaggio di giornate afose
Un triste villaggio e il perché delle cose
Nel piccolo viaggio che mi fu concesso
Svanisce, miraggio, col tempo, l’adesso
Piani
E non ho le energie per salvarmi,
il piano B a cui dovevo rifarmi.
Non ho pezzi di me che ho congelato,
tutto esposto al modo consacrato.
Nel dubbio che qualcosa esista veramente,
sintesi o prolasso del tutto o del niente.
E non è utile capire.
E non serve sputare via qualche parola,
che assomigli a quanto noto in gola.
Nemmeno farti felice mi consola.
Ho solo un’anima e un’anima sola.
Non essere
Mi cospargo delle mie dipendenze futili
mentre non sono più nemmeno l’attesa
di quello che non sarei diventato
Decadono gli alibi delle mie inappetenze
Il principio rigido che elessi riparo
resta vapore pallido sul mare che ogni sera saluto
Senza essere nave che salpa
Senza essere porto che accoglie.
Ho visto Maradona
Perché, scusa, anche tu puoi morire?
Lo ha fatto nel giorno in cui se ne vanno i ribelli.
Non contano più le parole biascicate da quel volto tumefatto dai suoi demoni.
Perché avete ragione voi benpensanti: Maradona non è un eroe, non è un esempio, non è un modello di studio interessato all’assoluzione di questa o quella corte morale.
Maradona è simbolo, proiezione di quanto un miliardo di noi ha stupidamente immaginato di ripetere. Anche solo una volta. A ridosso dell’area di rigore o più vicini al cerchio del centrocampo, sulle note di una canzone che conosciamo apposta o negli intervalli tra macchine e marciapiedi.
Maradona è iconografia, effige trascendente la sua stessa umanità indisponibile ai più, oltre la sua inconsapevole essenza, oltre la sua carne di fibre divine, capace di volteggiare, tra stinchi e pedate, per la sua voglia bambina di restare in piedi.
Elasticità che non si piega, genialità che non si spiega.
Estro senza accademia, che in un lampo trasforma il più bizzarro dei suoi ghirigori nel gesto utile al trionfo di un popolo.
Maradona è l’idolo di spalti rigurgitanti che torna con le scarpe slacciate a mescolarsi al fango delle periferie. A godere di un altro gol quando si spengono le luci.
Maradona è il ragazzino che vuole diventare il più grande.
Maradona è il più grande che non esita a tornare ragazzino.
Maradona è rivalsa, per tutto ciò che sarebbe potuto essere e non è stato.
È l’altare improvvisato dei traditi da Dio.
Maradona è la metafora perfetta del sud del mondo, nei suoi splendori, nelle sue miserie, nelle sue contraddizioni. Quel sud che c’è nel fondo di qualsiasi parte del mondo, e in almeno un anfratto di ciascuno di noi.
Maradona è il mito già senza la morte che crea il mito.
Aldilà del bene e del male.
Rabbia e fantasia.
Gioia dispensata senza nulla chiedere in cambio.
‘No importa que hiciste con tu vida, sino lo que hiciste con las nuestras’.
Si pianga, o si continui a festeggiare.
Senso unico alternato
Ora ricomincia. Potete restare, se volete.
A guardare quello che sarà, e forse quello che eravate.
Mi piace questa strada strada. S’allunga, corre, s’apre, si ritrae. E poi si nasconde.
Siete voi, quelli laggiù. O forse no.
Una strada, una storia. O forse no.
Per quanto la strada che ci è concessa sia sempre una, non è mai la stessa. Per quanto la storia che ci hanno raccontato ci sembri certa, non è l’unica possibile.
Che poi non è nemmeno la fatica di guardare oltre…
Basta spostarsi. Anche solo un po’. Sporgersi, ritrarsi.
Elaborare nuove distanze.
Prendere posizione, sapendo di poterla cambiare.
Che è il solo modo a noi concesso per giocare col tempo.
C’era una volta, ma non si sa quale…
C’era una donna. No, erano due: c’erano due donne, un uomo, e una ragazza…
C’era un pezzo di strada, che è linee infinite di infiniti punti.
C’erano le parole, semi che crescono o pensieri da far rimanere.
C’era lo spazio. Lo spazio utile per poter andare.
E una clessidra rotta a misurare l’attesa…

Portato in scena da Ilaria Genatiempo, Francesco Spaziani, Martina Zecca, Desiree Bari. Regia Francesco Zecca.
Alle mie parole piace stare in buona compagnia.