Archivi categoria: Cose che ho scritto io e che, nonostante questo, condivido

San Lorenzo

Dicono che ogni bimbo nasca sotto lo stesso cielo.

E ad ognuno sia concesso il naso in su delle giornate più limpide,
perché sia più facile immaginare.

Scorgere per primi scie luminose e stringerle nelle palpebre il tempo utile per non far scappare via il desiderio.

Chissà se anche a Gaza pensavano fossero stelle cadenti.


Intramare

It’s the final countdown!
Le cassette, gli anni ottanta
Al pallone sulla spiaggia
Qualche mamma che s’arrabbia
Per le squadre fate a tocco…
Cocco fresco, mandorle cocco! 
Era caldo e poco mosso
Supertele, bianco o rosso.

Da una casa uscendo a razzo,
ampio living e terrazzo,
con tre camere intramare:
-È vietato qui giocare!-,
strillò un uomo nerboruto.
Già capire avrei dovuto,
in quel luogo di endorfine,
quanto è labile il confine
tra abusivo, spesso ammesso,
e ciò che non ci è concesso.


19 Marzo

Oggi è la festa del papà.
Io non sono mai stato bravo nel fare gli auguri, cercandone formule.
Io non sono mai stato bravo nel manifestare i miei sentimenti, declinandone modi.
Non sono mai stato di quelli capaci di rendere chiare tutte le cose che mi abitano dentro.
Di renderle, seppur a spicchi, esplicite ad altri animi e visibili ad altri occhi.
E oggi nemmeno, ovviamente. Ciao.


Senso unico alternato

Ora ricomincia. Potete restare, se volete. 
A guardare quello che sarà, e forse quello che eravate.
Mi piace questa strada strada. S’allunga, corre, s’apre, si ritrae. E poi si nasconde. 
Siete voi, quelli laggiù. O forse no.
Una strada, una storia. O forse no.
Per quanto la strada che ci è concessa sia sempre una, non è mai la stessa. Per quanto la storia che ci hanno raccontato ci sembri certa, non è l’unica possibile. 
Che poi non è nemmeno la fatica di guardare oltre… 
Basta spostarsi. Anche solo un po’. Sporgersi, ritrarsi. 
Elaborare nuove distanze. 
Prendere posizione, sapendo di poterla cambiare. 
Che è il solo modo a noi concesso per giocare col tempo. 
C’era una volta, ma non si sa quale…
C’era una donna. No, erano due: c’erano due donne, un uomo, e una ragazza… 
C’era un pezzo di strada, che è linee infinite di infiniti punti. 
C’erano le parole, semi che crescono o pensieri da far rimanere. 
C’era lo spazio. Lo spazio utile per poter andare. 
E una clessidra rotta a misurare l’attesa…  

Portato in scena da Ilaria Genatiempo, Francesco Spaziani, Martina Zecca, Desiree Bari. Regia Francesco Zecca.
Alle mie parole piace stare in buona compagnia.


Il gioco del dottore

E che culo, finalmente

dopo anni da studente

m’han chiamato immantinente!

Pare ci volesse gente…

 

Questo è il gioco del dottore

Si ricerca chi è l’untore

 

Il mio sogno nel cassetto!

Io ci sono: è presto detto!

Come un solo posto letto?!?

E quest’altro ‘ndo lo metto?

 

Questo è il gioco del dottore

“Fa’ qualcosa, per favore!”

 

I più bravi domattina

vincon tuta e mascherina!

 

Non ci son per tutti quanti,

garantiamo solo guanti:

c’eran cose più importanti.

Tocca a te, dai, fatti avanti!

 

Questo è il gioco del dottore

Si fa a tocco per chi muore.

 

Vince chi non ha giocato,

perché già così abituato,

per politiche d’umani,

a lavarsene le mani.


Strani giorni

S’allungano giornate che vorresti accorciare

La luce delle cinque ha poche ombre da schivare

Poggiati in una maschera che non fa che mostrare,

siam numeri di un abaco che non si vuol fermare.

 

Guardammo con sospetto

un nero che scappava

un giallo in un quartiere

un bimbo che annegava

un vecchio dentro a un letto

Guardiamo con sospetto

i prossimi vicini

 

Si raccontò diversa

la fiaba dei confini

 

Si ruppe senza avviso

la campana di vetro

Ci ritrovammo soli

distanti circa un metro

 

Lo spazio dentro a un atomo

è il cosmo che si espande

Più grande sembrò il piccolo

e più piccolo il grande

 

 

 

 

 


(la vera) Storia di Babbo Natale, 2019 (appendice)

Ma voi, come ve lo immaginate Babbo Natale?

Questa era solo la mia storia.
La vostra dove l’avete messa?
In quale cartone è finita?
Cercate ancora qualcosa in soffitta, ogni tanto?
O con la scusa della polvere si diventa allergici ai ricordi,
Che poi, sapete, non c’è cosa più futuribile, dei ricordi…
Istruire al prevedibile
O coltivare la fantasia
Essere sempre logici, perfettamente in ritardo
O disordinati creatori di piccole trasgressioni alla contemporaneità
Vivere lo stesso giorno per settant’anni, senza sbagliare mai
O inventare quello che sarà, dentro un pacco da ricevere o in un fremito non consegnato.
Realtà
O immaginazione
Realtà e(è) immaginazione.

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Portato in scena da Francesco Zecca. Musiche a cura di Martina Zecca, Marcovalerio Sabato.
Alle mie parole piace stare in buona compagnia.


Fine mese

Le hai mai contate le facce che hai attorno?
Ci sono, spariscono, in base all’età.
Li hai mai contati gli amici che hai?
Che cambiano spesso con l’umidità.
Lo hai mai contato il livello d’amore?
Che cambia in base al bisogno che si ha.
E la somma di padri e di madri?
Che forse non cambiano, ma bene non fa.

Ci fosse un posto per stare da solo,
ma solo che solo si sia per davvero.
Provare a far niente che possa cambiare,
provare a far niente, senza fare del male.

 


U come amore (tesi)

C’è una cosa che accomuna chi lo ha provato e chi no: non saperlo definire.
L’Amore, dico.
Capossela non ebbe risposte dal vento.
Uno ancora più bravo usava dividerlo in sacro e profano.
Che sia cieco pare pacifico, certo, ma l’attributo non vale, da solo, esaustiva definizione.
Accantonate velleità d’inquadramento linguistico da Devoto-Oli, Zanichelli, o piccolo Palazzi, mi piace credere che il punto più alto, in letteratura, del termine in analisi (e che, in analisi, spesso, finisce per mandarci/vi-ci… vabbè, insomma, tendo all’inclusione), sia stato raggiunto da un tale nel canto V dell’Inferno allorché parlò di “Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende”.
Il punto più basso lo si toccò molti anni dopo (ancora convinti dell’evoluzione della specie?) con l’assioma della TV commerciale “L’amore è… Scavolini”.
E anch’io, che di certo non son Dante, ma nemmeno Lorella Cuccarini, m’azzarderei, senza dirlo, a definirlo:
l’Amore è felicità. O meglio, sono. Perché di felicità diverse si tratta.
E di tre tipi:
a) È la felicità di essere felice con chi ti sta accanto
b) È la felicità di essere felice di sapere felice la persona che ti rende felice
c) È la felicità di essere felice se chi ti tradisce muore, leggete pure ‘trapassa’ se la mia crudezza ha urtato la vostra sensibilità di lettori; a patto che non sia ‘a miglior vita’, ché, se no, piacere al cazzo.
“Eccolo, lu curnutone…”, desumerebbe il lettore disattento prendendo in prestito un titolo degli insuperati Squallor…
E no, caro lettore di superficie, perché tutto sta nel significante, e significato assunto, del termine ‘tradimento’. Concetto da intendere in senso lato, appunto. E lato assai.
Ripercorrendo la via della tripartizione:
a) Vi è tradimento retroattivo, che si consuma già prima che lui/lei ti abbia conosciuto
b) Vi è tradimento in costanza di rapporto (o tradimento strictu sensu)
c) Vi è tradimento posteriore, postumo per i più foscoliani, che si consuma ad abbandono avvenuto.
Orbene, chi è d’accordo con questa ardita tesi è pazzo…
e neppure spero di trovarvi d’accordo, ché già non so se lo sia io, con me.
Ma se mi date del pazzo, smettetela, per dio, di parlar d’amore eterno!

P.S.:  Visto che, con la maturità anagrafica, mi sono imposto di produrre quote, a me sconosciute, di pragmatismo, propongo allora, onde evitare spiacevoli fraintendimenti, un utile Vademecum delle frasi da preferire in costanza di coppia:
“Sei l’uomo/la donna (vale ambosessi) più importante della mia vita da marzo 2008 a gennaio 2010 (le date sono commutabili ad uso e consumo personale)”
“Sei il mio 3° o 4° amore eterno”
“Come te nessuno mai, da quando ho cambiato residenza”
“Ti amerò per sempre negli anni bisestili”
“Non ti dimenticherò, fino alle 8/8.30”

P.P.S.: Il Vademecum può avere effetti collaterali. L’autore declina da ogni responsabilità.

 

 

 


A sette miglia (o anche più)

Mi son fermato troppo tempo a pensare
Ero io, disperso a sette miglia nel mare
Ero curioso di chi mi venisse a cercare,
per quanto dissi -a me lassatime shtare-

Mi son fermato troppo tempo a pensare
Ero disperso a venti miglia nel mare
Una sirena nuda stava a cantare
Una murena cruda lì ad ascoltare

Mi son fermato troppo tempo a pensare
Ero disperso a cento miglia nel mare
S’avvicinò uno squalo per pasteggiare
Ma carne bianca e solo se regolare

Mi son fermato troppo tempo a pensare
Ero disperso a mille miglia nel mare
S’avvinghiò un polpo col suo viscido fare
-Ogni pensiero- disse -è tentacolare-

Mi son fermato troppo tempo a pensare
Ero disperso non so dove nel mare
Mi ritrovai due branchie per respirare
M’avevan detto -in fondo è bello cambiare-

Mi son trovato a stare senza pensare
Ero finito nei fondali del mare
Sembrava bello il mondo unicellulare
Fu come un ballo lento anche annegare

sdr