Crepare di maggio non ci sono prove
Ci vuole coraggio andar punto e altrove
Un pensiero ostaggio di giornate afose
Un triste villaggio e il perché delle cose
Nel piccolo viaggio che mi fu concesso
Svanisce, miraggio, col tempo, l’adesso
Crepare di maggio non ci sono prove
Ci vuole coraggio andar punto e altrove
Un pensiero ostaggio di giornate afose
Un triste villaggio e il perché delle cose
Nel piccolo viaggio che mi fu concesso
Svanisce, miraggio, col tempo, l’adesso
E non ho le energie per salvarmi,
il piano B a cui dovevo rifarmi.
Non ho pezzi di me che ho congelato,
tutto esposto al modo consacrato.
Nel dubbio che qualcosa esista veramente,
sintesi o prolasso del tutto o del niente.
E non è utile capire.
E non serve sputare via qualche parola,
che assomigli a quanto noto in gola.
Nemmeno farti felice mi consola.
Ho solo un’anima e un’anima sola.
Mi cospargo delle mie dipendenze futili
mentre non sono più nemmeno l’attesa
di quello che non sarei diventato
Decadono gli alibi delle mie inappetenze
Il principio rigido che elessi riparo
resta vapore pallido sul mare che ogni sera saluto
Senza essere nave che salpa
Senza essere porto che accoglie.
Davanti un lastricato di mattonelle grigie
Camminare accorto a non toccare le fughe
Di tanto in tanto poi guardarsi attorno.
C’era un ragazzo con l’occhio offeso
Davanti un lastricato di mattonelle grigie
Camminare accorto a non toccare le fughe
Di tanto in tanto poi guardarsi attorno.
C’era un ragazzo con l’occhio offeso
Un altro solo e in sovrappeso
Davanti un lastricato di mattonelle grigie
Camminare accorto a non toccare le fughe
Di tanto in tanto poi guardarsi attorno.
C’era un ragazzo con l’occhio offeso
Un altro solo e in sovrappeso
C’era una donna e si nascondeva
Davanti un lastricato di mattonelle grigie
Camminare accorto a non toccare le fughe
Di tanto in tanto poi guardarsi attorno.
C’era un ragazzo con l’occhio offeso
Un altro solo e in sovrappeso
C’era una donna e si nascondeva
Un vecchio smunto che non piangeva
Davanti un lastricato di mattonelle grigie
Camminare accorto a non toccare le fughe
Di tanto in tanto poi guardarsi attorno
E chiedere come stai a chi si incontra
E quasi mai aspettare la risposta
Sciocco chi prova a disfarsene in strada
Sciocco chi cova dignità di rabbia
Tengo per mano le mie debolezze,
le porterò a pisciare giù al prato
Ed alla sera sotto le stesse lenzuola,
come un’amante che ormai troppo conosce di te
Mi commuovono gli inizi in fondo a un caffè,
dentro albe assolate ch’è più facile andare.
Mi commuovono i piedi dei bambini e le mani dei vecchi,
quel mare in tempesta da conquistare,
quel porto di quiete, poi, da guadagnare.
Mi commuove la polvere delle cose lasciate,
quello che forse sarebbe potuto essere
e che per ciò deve essere dimenticato.
Mi commuovono le luci di natale quando le guardo da solo,
appese come sogni fradici ad asciugare.
Mi commuove la piazza quando non c’è nessuno.
Le vite negli angoli, non ancora pensate.
Il tempo mai scritto.
Gli auguri non dati.

Vago
aereo
sentiero
nomade
soffiato
da eventi
Nel freddo
rigido
pensiero
monade
transitorietà
violenti
Nel mio giardino ci sono un cane, un ranocchio che non sarà principe e un pensiero che non sarà principio.
Mi stanno lì, tutto il tempo ad aspettare,
nello spicchio di sole tra l’inizio e il rumore.
Io sto lì a guardarli per un po’,
alla finestra di un altro giorno come un altro giorno.
Tocco il vetro con un’unghia per farli voltare.
Poi preparo qualcosa da mangiare:
una ciotola, il bacio di una principessa inventata e un altro giorno come un altro giorno.
Flebile il tuo respiro senza parole
Sottile la tua pelle senza più umidità
Quella tua mano stretta, diventando carezza,
mi diceva mi resti anche se te ne vai
Ho percorso stazioni, ma ero fermo a un’estate
Mentre tu eri già in viaggio dove niente si sa
E ho dormito la mia ultima notte di bambino
E tu la tua prima d’eternità
Chissà che forma nuova avrà la mia malinconia,
la strada che ha sbucciato ginocchia e poesia.
Chissà se queste rime saranno porcheria,
se poi lascerò in ordine prima di andare via.