Archivi categoria: Cose che ho scritto io e che, nonostante questo, condivido

Santa Claus main post office. 96930 Arctic circle. Finlandia

S’avvicina il venticinque, e tutti giù a scriver lettere…
Ho visto il cinico
chiedere a Babbo Natale una giacca di renna.
Ho visto il sadico
chiedergli la consegna del pacco, per mezzanotte in punto, presso Greenwich, Roma, Cape Town, Mosca, Abu Dabi, Islamabad, Jakarta, Pechino e Sidney.
Ho visto l’ottimista
chiedere un set di bicchieri mezzi pieni.
Ed il pessimista berci sopra.
Ho visto l’ansioso
inviare la letterina con corriere, posta prioritaria e ricevuta di ritorno.
Ho visto l’integralista
richiedere un pacco bomba.
Ho visto un bipolare ignorante
mandare una lettera in Artide ed una in Antardite.
Ho visto la femminista
esigere delle quote rosa per la fabbrica in Lapponia.
Ho visto lo stoico
iniziare ogni lettera con “Anche per quest’anno…”.
E l’epicureo
finire ogni lettera con “, per piacere.”.
Ho visto lo scettico
scriverla a matita e consegnarla a mano.
Ho visto il feticista
chiedere la calza anche a Santa Claus.
Ho visto il tradizionalista
mandare un piccione viaggiatore chiedendo un pc.
Ed il progressista
mandare una mail chiedendo un piccione.
Ho visto un genio tossicomane
scrivere una lampada e poi sfregare la lettera.
Ho visto un alcolista anonimo
dimenticarsi il mittente.
Ho visto il surrealista
inviarsi.
Ho visto il filantropo
rassegnare la lettera di dimissioni.
Ho visto l’europeista
inviare il pagamento in moneta unica.
E l’italiano medio
inviarlo in unica moneta.

La crisi, per fortuna: quest’anno, Babbo Natale, slitta.


Lettera d’amore

Avrei voluto scriverti da un pezzo.
E dirti mille cose.
Cioè… meno di mille.
Ma più d’un paio.
Una dozzina, circa.
Dirti che non sei la grammatica dei miei sentimenti.
Ma neppure un errore del mio quore.
Sei meno emozionante di un concerto dal vivo di Paoli Gino.
Molto più dei Pooh, però.
Forse come Cristicchi, ma al politeama, ché certi cantautori alle sagre di paese è peccato.
Sei meno dolce del Carte D’Or al tartufo.
Ma più di innumerevoli altri gusti tra cui il pistacchio, e la stracciatella anche.
Non sei il pianoforte di Duke Ellington né le note di Louis Armstrong (dirti “tromba” mi è sembrato inelegante).
Ma non mi fai schifo come il rumore dei bonghi alle feste dell’Unità.
Il di te pensier non conduce i miei passi sui passi lunari di Neil Armstrong.
Ma mi fa sentire meglio dell’unico dell’equipaggio dell’Apollo 11 rimasto a bordo.
Mi sei meno agognata dell’Alpe D’Huez dopo una scalata al Tour di Lance Armstrong (che se non vi piacciono i versi almeno non farete più confusione sui nomi).
Più d’un’avaria d’auto nella nebbia della pianura Padana.
Per te non nutro l’affetto che nutro verso mia madre, mio padre, fratelli, nonni, anche defunti, qualche cugino.
Ma la tua posizione si fa preferire a molti parenti dal terzo grado in su.
E se vuoi interrogali.
Non le hai le curve d’una Ferrari Gt 360 Modena.
Ma sei più sinuosa di una Fiat Duna.
Di non poco.
Vero è che non scorgo in te le profondità di “Train de vie”.
Ma amo star con te decisamente più che guardare “Titanic”.
-E’ affondato-, mi dirai.
Ma io, per profondità, intendevo altro.
Fa nulla: so bene che sei meno intelligente di Margherita Hack,
ed anche meno carina della fidanzata di Totti, o moglie… non so.
Ma il contrario sarebbe peggio, in fondo.
Non mi vesti come un doppiopetto Ermenegildo Zegna.
Ma mi stai meglio di un due bottoni in laminato lucido Dolce e Gabbana.
Non sei il risveglio del 25 Dicembre in età bambina aspettando suoni di campanelli e renne.
Ma sei meglio della befana. Assai.
Nemmeno il mare di cristallo del più lontano degli atolli sei.
Ma Sant’Isidoro a Ferragosto neppure, no.
Facciamo, per darti un’idea, Torre Uluzzu in un giorno di scirocco moderato.
A letto non sei spumeggiante come il Barça di Guardiola.
Ma nemmeno catenacciara come il Trap, a dirla tutta.
E tra l’altro tendenzialmente non sputi per terra come il peggior stopper della peggior matricola della 3a categoria girone C, che sarebbe poi quello di bbasciu’llucapu.
Se è troppa ti preferisco il Valium.
Ma quando l’ansia è gestibile sei meglio di Valeriana.
Anche in compresse.
Salvo controindicazioni.
Neppure il fascino di Nora Mogalle hai. No, non il suo.
Ma molto, molto di più di quello di Plinio “Mariangela” Fernando.
E non solo perché eviti di gridare “Lasciami moooostrhooooo!!!” quando si fa all’amore.
Non sei, per me, un mattino di Maggio, o un tramonto settembrino.
Ma neanche il 3 Novembre alle 18, grazie al Cielo plumbeo (plumbeo non c’entra ma plumbeo non lo scrivevo da troppo tempo).
Mi ecciti quasi come una scommessa Snai.
Anche se, scommetto, non ci crederai.
Sarebbe meglio un Poker di Donne,
Ma ti preferisco a molte Coppie.
E non sto bluffando.
Non sei il mio primo pensiero al mattino.
Ma già dopo pranzo bussi alla mia mente.
E comunque considera che mi alzo molto tardi.
Forse non ti rincorrerei fin in capo al mondo.
Ma t’assicuro che se ho la macchina e trovo le benzine aperte ti raggiungo dopo.
Sennò ci sentiamo.
Insomma… io e te tre metri sopra il cielo no, vabbè…
Ma frequentiamo più terrazzi che cantine.
Escluso quando abbiamo bisogno di bere.
Non ti chiedo di restare con me per sempre.
Ma, giacché, aspetta.
(O almeno trattieniti a cena, ché per te non ho comprato Moet & Chandon, ma c’ho due acque brillanti. Schweppes).

Questa non è la più bella lettera d’amore mai scritta.
Ma è meglio sempre andarci coi piedi di piombo.


Assenze

Sei stata vita che a vita invita

Ora ti confondi nel volo degli angeli
Candore trai cumuli di nembi che t’abbracciarono
quando troppo leggera sfuggisti alla gravità carnale
Scia di cometa nelle notti d’inverni senza luci

Nell’eco amaro dei miei ricordi più dolci
Suono celeste del paradiso che t’accolse
quando nuova bellezza mai contemplata contemplò
Sibilo del vento fresco di mattine di brina

Proteggermi dalla tua assenza

Per sempre i rintocchi degli attimi in te vissuti indicheranno i miei passi terreni
Nell’attesa che la fine dei tempi mi riconsegnerà al tuo bacio etereo

Come sarebbe a dire non sei morta ancora?
No no, prima mueri. Ci tengo


Elogio del silenzio


Lasciò lì solo il suo silenzio.
Silenzio…
Silenzio…
Il silenzio.
L’unica cosa che non puoi smettere d’ascoltare.
Il silenzio.
Il solo posto da cui non si può andar via.
Il silenzio.
Voce che ogni assenza ti ripeterà.
Il Silenzio.
Fu rumore.
Fu musica.
Eredità dei tuoi momenti più puri.
Il silenzio sei tu,
e la sua eco intollerabile è il tuo libero arbitrio.
Null’altro che il duro confronto di ciò che in te è il bene e il male.
La responsabilità di scegliere.
Diritto senza codici. Codice senza diritti.

E sola anelata via di fuga alla gravità della scelta si cercherà in un urlo…
forte, ancora di più… di più… ancora…
per coprire ogni punto di ciò che è silenzio,
disumana libertà,
insostenibile eccedenza dei possibili.
Inspirare forte perché vento si scateni all’interno del tuo esistere per spazzare via ogni cosa,
e poi metter fuori il fiato vestito di parole,
sputarlo via per sconfiggere quel silenzio maledetto.
Urlare in faccia alla libertà il dolore di non saperla accettare.

Sarà un bacio a chiudere la bocca di ciascuno di noi,
a strozzare quel grido in respiro docile.
Un bacio morbido, perfetto, il più bello delle nostre vite:
l’attimo in cui, costretti al silenzio da labbra ermetiche,
per un solo secondo,
tremanti,
non avremo paura del buio della libertà.

Portato in scena da Francesco Zecca ne “Il Grande Inquisitore” da “I Fratelli Karamazov” di Dostoevskij.
Alle mie parole piace stare in buona compagnia.


L’ipocondriaco

Ha dolori intercostali
da malati terminali.
Son nefaste forze astrali,
quali mali stagionali!?!

Basta d’un fastidio a un arto
per sudar come pre-parto:
senza dubbio e alcuno scarto
qui si tratta d’un infarto.

Se la testa gli fa male
questo è ictus cerebrale.
C’è chi scende e c’è chi sale,
lui tracolla verticale.

Il nervoso per la gente
che serena pensa a niente
poi gli blocca immantinente
l’apparato digerente.

Se s’immerge ovunque sia
sopraggiunge l’embolia.
-Son pensieri o malattia?-
Si chiedeva la sua zia.

Soffre il caldo e la cistite.
Soffre il freddo e la borsite.
Già se il clima non è mite
si risveglia la rinite.

Se ci son pazienti ansiosi
paga spesso prezzi esosi:
si presentano trombosi
anche solo per osmosi.

Se respira un po’ d’affanno
sarà lo peggio malanno.
E peggiora di anno in anno:
c’è la beffa, oltre che il danno.

Anche solamente un crampo
a lui lascia niuno scampo:
degenerativo il campo,
amiotrofico lo stampo.

GammaGT,  piscio a colori,
quali che siano i valori,
è con quelli che poi muori,
aldilà di quanto sfori.

Tratta donne con i guanti.
Avrà modi assai galanti?
No, ma teme per esubero d’amanti
malattie sessuali invalidanti.

Parla idioma assai forbito,
informato da ogni sito.
Il suo amico favorito
fa chiamarsi Fazzi Vito.

Strillerebbe a fiato rotto,
se potesse usare un motto:
“Se ti stai cagando sotto,
chiama, orsù, il Centodiciotto!”

In realtà non c’è un difetto.
Morrà solo per diletto,
per potervi dire schietto:
“Ve lo avevo pure detto!”


Baci e abbracci (tecniche)

Nella mia vita di essere umano
ho dato anche dei baci
So che sembra impossibile
per uno come me,
ma è stato così
Hai presente di quelle cose che ci si schiacciano le labbra
e che poi se sei più bravo ci si scivola sopra inumiditi. Quelli
Uno dei due occhi a volte,
confesso,
l’ho tenuto chiuso per finta
Io conobbi nella mia vita diversi abbracci anche
Uno talmente grosso
che potevo solo abbracciargli un braccio
Uno talmente magro che,
ad abbracciarlo,
con me ci facevo tre giri ed un nodo
Per questo le cose non andavano,
tra me e questi abbracci
Mi ricordo che volevo,
che cercavo
l’abbraccio che fosse perfetto
Forse perché ero giovane
e non sapevo che era pericoloso volere cercare le cose perfette
O forse perché mi piaceva la geometria
Cioè perfetto è che le mani dell’abbraccio finiscono al centro
dove ci sono le vertebre,
una sulla schiena ed una sulla nuca,
quella sulla schiena a spingere un po’,
quella sulla nuca a stringere appena,
soprattutto col pollice opponibile,
che per quello ci è stato dato
dal dio dei pollici,
per carezzare le nuche
E poi, quando è esattamente così,
devi abbassare poco la testa
tra il suo collo e la sua spalla sinistra
ed appoggiare la bocca socchiusa sopra quell’incavo
Vi accorgerete di poter stare ore e ore e ore così.
Pur’io stetti
O forse no,
ma non vi voglio più raccontare
Poi a volte ho fatto pure cose più sporche
Che a volte è sporco se non le fai,
ma dipende
Ma non posso parlarvene qui
Anche mi è successo che mi hanno toccato il culo su un autobus
Ma mai nessuno mi ha fatto piedino sotto un tavolo
Deduco che ormai viviamo in maniera troppo sfrontata
O di non avere dei bei calzini.


L’ansia (filastrocca simpatica in rima baciata. fino a un certo punto)

Seggo al circolo del vizio d’un ospizio un po’ fittizio.
L’esercizio di ‘sto tizio ripercorro dall’inizio:

“L’ansia è un coso ansioso.
Di cui dir non so.
È un rotondo afoso.
Di cui dir non oso.
Anzi,oso.
Io per esempio l’ansia
ce l’ho quando devo fare cose.
Io per esempio l’ansia
ce l’ho quando faccio cose.
Io per esempio l’ansia
ce l’ho quando faccio nulla.
Solo non ce l’ho quando faccio nulla dopo aver fatto cose.
Ma è un momento.
Piccolo assai.
Che in quel momento si dovrebbero far tante cose belle.
Che se penso a quante farne entrare in un posto così piccolo mi viene l’ansia”.

http://www.youtube.com/watch?v=IBH97ma9YiI