Che bel sole, stamattina!
hashtag buonacolazione,
metto una maglietta fina.
Scrivo a caso un’opinione
per sentirmi intelligente.
Siamo uomini, dispiace,
non possiamo farci niente:
bombardiamo per la pace,
un ossimoro vivente.
Che bel sole, stamattina!
hashtag buonacolazione,
metto una maglietta fina.
Scrivo a caso un’opinione
per sentirmi intelligente.
Siamo uomini, dispiace,
non possiamo farci niente:
bombardiamo per la pace,
un ossimoro vivente.
Ma come fanno i pesci del mare
a non perdersi senza segnali,
quando si trovano soli a cercare
la preda giusta per non morire.
Avranno antenne, occhiali efficaci?
Lunghi binocoli, navigatori?
Mappe d’abissi sempre aggiornate?
Ecco: frequenze da catturare.
Ma come fanno, allora, le angosce
a nuotare seguendo identica rotta,
senza sentire nulla vibrare.
Sono pozzanghere mari profondi.
Riflessi pigri livree scintillanti.
Si sentono solo gli scrosci del vento,
ma forse è troppo, troppo banale
chiedergli di portarti lontano.
M’immaginai
una tenda bianca gonfia di brezza scivolare le sue gambe setose.
Sue non so di chi. O non ricordo.
M’immaginai
le sue terga morbide scoperte a metà dalla mia maglietta da notte.
M’immaginai
chiavi di violino disegnate dall’arco della sua schiena spigolosa.
M’immaginai
aprirsi il sipario dei suoi capelli sulla piccola nuca chiara, preclusa al sole, nuda ai raggi di luna.
M’immaginai
i suoi seni strizzati dalla tramontana e da bikini insufficienti emergere orizzontali sospinti poco più in alto della marea da sensuali applicazioni di princìpi d’Archimede
Colpito da troppi corpi contundenti m’interruppi i pensieri alticci.
Bevvi due olive.
Arrossii.
M’immaginai solo sfiorare con la lingua furtiva il tuo broncio addormito.
Tappatevi le bocche
con le rimanenze dei panettoni
d’uva, e tempo che, passa,
di modo che non abbia strada
l’ennesimo sproposito
da ultimi rintocchi.
Come flatulenza silenziosa
troverà sbocco dall’orifizio meno nobile
allo scoccar di mezzanotte,
quando baci un po’ unti
schiaffeggeranno guance a caso
stando attenti ai doppioni.
Nel fumo di necessitate interazioni
nessuno farà caso a un sigaro acceso
allontanarsi dalla moltitudine augurale
per trovarsi meno solo.
Poco oltre una finestra, appena dietro
Un altro giorno e un gatto infreddolito
Vapore le parole sopra il vetro
I miei retaggi nudi ed un vestito.
L’ipocrisia di rimandar le cose che non si faranno
I buoni propositi di fine d’anno
Di quei giorni che te ne vai al mare
giusto così, per non morire
E fissi le rive calme
schiumando rabbia
Nulla ti somiglia
Forse il freddo
O la carcassa riempita di sabbia
-Funerea clessidra-
Di, chissà, un’allodola
senza più specchi.
Chiedersi
se ciò ch’è stato sia giusto,
o sia sbagliato
La nostalgia,
a far finta che sia tutto passato
Contare dieci gocce
e poi, d’un fiato, berle
Nella valigia, stretto,
c’è il peso di restare
Il tempo di un saluto…
Ciao a te, ragazza scalza,
che non t’ho mai guardato
E a te, vecchia signora,
che, lume di candela,
è cera ogni tua ruga
e vegli ogni mia sera
Mi pare sia settembre,
o è la vita intera.
Fetida, putrida acqua che non scorre.
Eredità tra vivi.
Si finge speranza
se riflessa dalla prima luce del mattino nuovo.
Si veste di rabbia
se il passaggio rapido di cumuli grigi ne obnubila la stasi.
Si maschera di certezze
se nessun vento ne corruga la tregua.
Marcia, malsana acqua che non scorre.
Abitudine, null’altro.
C’è la luce rosa dell’alba,
di quando dormire ti sembra sprecare altro tempo
C’è il sole fresco della mattina
ad asciugare sudore alle mani
C’è un paio di piedi che camminano passi normali
C’è un paio di gambe magre che possono aspettare
Non importa molto dell’altro ch’è intorno,
perché troppo ha importato quel poco che c’era
C’è un airone nero venuto da lontano
Racconta di posti dove non c’è il tempo, maledetto, per pensare
Racconta di come perdersi, ritrovarsi,
e poi perdersi ancora,
purché abbastanza leggeri si sia per andare
E avvicinarglisi un altro po’ basta,
per farsi spiegare come spiegarle, le ali

La schiena distesa chiude fessure lungo ergonomie di scogli,
asperità di pietra levigate dall’acqua come ricordi dal tempo.
Importuno il riverbero luminoso del mare attraversa le palpebre chiuse.
In un solo respiro, poco più profondo, sarà un sorriso senza rumore.
Bastarsi. Somiglia a quando nessuno ci guarda, al tiepido dei primi raggi d’aprile.
L’ultima vanità sarà riuscire a dare senza aspettare riconoscenza,
ché pure quello è dipendere dal giudizio.
Andare.
Nei tuoi piccoli posti diventano tutte piccole cose,
granelli di sabbia che, scalzo, non danno fastidio.